MARIO TUTI nel cinquantesimo anniversario della morte dei fratelli Mattei
Ci sono dei versi dal “mercoledì delle ceneri” di Eliot che mi pare
possano essere presi a epigrafe di questa giornata dedicata al devoto e dolente
ricordo del sacrificio di Virgilio e
Stefano alla vicinanza dei loro familiari e ai camerati di allora, poi che non
spero più di ritornare queste parole possano rispondere di ciò che fu fatto e
ormai non si fa più e verso di noi il giudizio non sia troppo severo e prego di
poter dimenticare quelle cose che troppo discuto con me stesso e troppo spiego ecco
gli anni che passano in mezzo fra cancelli inferiate e lungo esilio passano gli
anni passati e nuovi non ravvivano dove ritroveremo la parola e la coscienza,
dove risuonerà la parola e l’azione non qui che qui il silenzio assorda. O mio
popolo cosa ti hanno fatto il tempo giusto e il luogo giusto ecco sono qui e a
te mio popolo giunga il mio grido, un grido all’ora e una testimonianza a
distanza di mezzo secolo di quegli anni ancora segnati nella mia memoria
dall’orrenda immagine di Virginio Mattei avvolto nel fuoco mi ricordo lo
sgomento nella sezione dl M.S.I. di Empoli i commenti con i giovani camerati la
lettura affannosa dei giornali e poi la rabbia per le indegne provocazioni
sulla stampa il volantino di rivendicazione che diceva morte ai fascisti, poi
vennero l’assoluzione e le facili fughe dei colpevoli le complicità e le
convivenze degli intellettuali, giornalisti, politici che minimizzarono,
mentirono, strumentalizzarono, derisero. Mi ricordo ancora l’infame vignetta di
Iacopo Fo e ancora altri morti legai a quella storia come Mantakas e i camerati
uccisi a Padova e ci fecero comprendere quanto il nostro amore per questa terra
e questo popolo fosse diventato amaro, questo paese squallido comodo banale non
sapeva che farcene del nostro amore in noi cera troppo orgoglio troppe passioni
troppa forza e ci rifiutò perché per noi per l’ Italia pretendevamo di più
pretendevamo il meglio e cosa ancora più imperdonabile avevamo ragione! Ma oggi
non è il momento delle accuse e delle recriminazioni e il momento del compianto
e del dolente ricordo di Stefano e Virginio e del loro martirio ed è per questo
che siamo qui oggi ma per gli altri giorni dell’ anno il loro sacrificio e la
sostale impunità dei loro assassini e dei loro tanti favoreggiatore è un atto
d’accusa che elevo soprattutto a me stesso si e allora oggi batto il tamburo
per i nostri morti e a loro mi appello, la luce che portavano l’abbiamo fatta
spengere e ci resta solo oscurità cenere paura, a loro mi appello perché anche
il mio cuore torni a radere come un tempo, mi appello ai nostri camerati caduti
coloro che scelsero e si opposero e non vollero arrendersi come io allora
scelsi e mi opposi, mentre ora con l’avanzare degli anni e il declinare delle
forze anche la volontà e il cuore stanno venendo meno e non sono contento, non
sono contento per i loro carnefici senza punizione per la magistratura inerme
per quei politicanti che su di loro specularono e ancora speculano per i
giornalisti che ancora infangano la loro memoria non sono contento di me del
mio essere incapace di dare loro giustizia non sono contento di un ambiente
perso tra vanità e giustificazioni perso nelle parole, per il
resto dell’anno se il sacrificio dei fratelli Mattei non ci ha dato la forza e
il coraggio di continuare la loro lotta e di vendicarli ci dia almeno la
vergogna la penitenza per la nostra paura sperando allora che i nostri camerati
caduti abbiano pietà di noi e che il nostro spirito fragile sappia finalmente
ribellarsi il cuore perduto si rinsaldi e ritrovi la sovranita potenza della
lotta, gli anni passano e non vi è luogo di grazia per coloro che solo parlano
e non agiscano
"Camerata è più che Amico. Camerata è più che Fratello. Camerata
vuole dire essere dello stesso Sangue, della stessa Mente, della stessa Anima,
della stessa Fede! Per questo non c’è posto tra Camerati per riserve mentali,
per sospetti, per maliziose interpretazioni, per invidie, per prevenzione, per
supponenza. Tra Camerati deve esserci la Fiducia, il pregiudizio positivo, la
Stima, l’Affetto, il Sostegno che fanno del rapporto un rapporto esclusivo e
simile a nessun altro. Tra Camerati deve essere esclusa la prevaricazione, la
censura, il volere superare, la sete di dominio perché tra Camerati ci si deve
sentire “pari tra i pari” al di là delle Gerarchie ed al di là anche del valore
di ciascuno nel contesto di una “impersonalità attiva” che fa sentire ciascuno
una parte di un tutto! Tra Camerati non debbono servire barriere protettive
perché non ci deve essere nessun pericolo di aggressione né verbale, né
psicologica. Tra Camerati si può dissentire, ma senza acrimonia, si può non
concordare, ma senza partito preso, si può discutere, ma senza animosità perché
tra Camerati deve essere più forte il desiderio di trovare una sintesi
costruttiva, un accordo che non quello di volere avere ragione ad ogni costo e
perché tra Camerati deve esistere quell’affinità delle anime che nasce dalla
condivisione profonda della Visione del mondo e della vita. Se tutto questo non
c’è, allora significa che non c’è Cameratismo, ma solamente un’occasionale
convergenza di posizioni scaturite da un occasionale e superficiale incontro che non ha Radici Profonde. Se tutto
questo non c’è significa che si è dei conoscenti, si può essere perfino Amici,
ma non si è Camerati. "
E' difficile parlare di chi non
c'è più, di chi ha dato la vita per quell'ideale in cui tutti noi crediamo, di
chi è stato capace di sacrificare la propria giovinezza in nome di qualcosa di
più alto, di più luminoso, di più vero.
E' difficile perché qualunque
parola sembra inappropriata se usata per descrivere il gesto di ragazzi come
noi, che per il solo fatto di aver scelto quella che molti hanno chiamato e
continuano a chiamare la "strada sbagliata", quella più difficile,
sono morti a vent'anni.
E' difficile perché di fronte al
sacrificio estremo spesso ci si sente estremamente piccoli e inadeguati e
qualunque cosa si dica o si faccia sembra sciocca. E' difficile, ma noi
vogliamo provarci lo stesso, seguendo quel filo rosso che ci lega a chi ha percorso
prima di noi la strada sulla quale stiamo camminando.
Quello che vogliamo dire a
Franco, Francesco, Stefano, Alberto e a tutti quelli che sono con loro nella
verde valle lontana e senza tempo dalla quale ci stanno guardando, è che noi ci
siamo. Con tutte le nostre debolezze, con la stanchezza e lo scoraggiamento che
a volte si fanno davvero pesanti, con piccoli sacrifici quotidiani, che non
sono niente se paragonati al loro.
Ci siamo, e continuiamo, nel
nostro mondo e nel nostro tempo, a percorrere la strada che prima di noi ha
visto i loro passi svelti attraversare la vita, consapevoli del fatto che
abbiamo scelto di vivere un ideale che va oltre il tempo e oltre la storia, un
ideale che ha vissuto in loro e che ora vive in noi.
Ci siamo, e sappiamo che in ogni
semplicissimo atto della militanza di ogni giorno, come un'affissione, un
volantinaggio, una riunione, un'assemblea, ci sono con noi anche loro.
C'è chi il sangue è chiamato a
versarlo tutto insieme e chi goccia a goccia: quando ci sentiamo stanchi e
scoraggiati, quando ci assalgono i dubbi sulla scelta della militanza, sarà
sufficiente pensare a chi, ragazzo di vent'anni come noi, ha versato il suo
sangue tutto insieme e ci ha lasciato il dono più prezioso che si possa mai
ricevere: un esempio da seguire.
La tomba di Sergio Ramelli a
Lodi
il cielo grigio di nuvole e la comunità
Ci arrivi sempre un po’ prima,
al Cimitero Maggiore di Lodi. La mattinata di fine aprile sembra quella di un
giorno di autunno: il cielo grigio di nuvole, con qualche goccia che cade,
forse si è commosso. Lui come tanti ogni anno e ancora fra poco. Te lo fai da
solo il sentiero di ghiaia sotto gli alberi, per arrivare davanti a quella foto
e a quella lapide: Sergio Ramelli 8 luglio 1956 -29 aprile 1975. Ci vai da solo
perché dopo tanti anni, dopo aver ripercorso infinite volte quella storia,
Sergio Ramelli puoi dire di conoscerlo come un amico. Ed allora precedi gli
altri per guardarlo negli occhi, attraverso quella foto in bianco e nero, da
cui ti scruta malinconico e forse un po’ enigmatico. Ti fai il segno della
croce. Preghi. Poi scatti sull’attenti e saluti romanamente. Sì, come quando
eri ragazzino. Un paio di persone nei dintorni ti guardano basite, forse con
disprezzo. Ne ridi di gusto, come quando eri ragazzino. Torni all’ingresso.
Stanno arrivando gli altri. All’inizio era Alleanza Nazionale ad organizzare
questo evento. Ora non si sa bene quale sigla abbia il cappello da metterci su.
Si viene qui e basta. Ci sono quelli di Fratelli d’Italia e quelli di Lealtà
Azione. Ci sono quelli che non fanno più politica da quando si è sciolta An. Ci
sono quelli che prima erano di Forza Italia e chi era Sergio Ramelli l’han
saputo solo qualche giorno fa. Ci sono quelli che son rimasti nel Pdl ma oggi
non potevano mancare. Ci sono i vecchi missini. Ci sono i militanti del Fronte
della Gioventù che scortarono il feretro al cimitero. C’è il signore
anzianissimo che a 16 scappò di casa per combattere per la Repubblica Sociale e
c’è quell’altro che ha iniziato nel ’45 con l’Uomo Qualunque e non ha ancora
smesso. C’è il gentiluomo monarchico e il professore liberale che si erano
aggregati ai tempi della Destra Nazionale o della svolta di Fiuggi, che tutto
sono fuorché “fascisti”, ma che, uomini d’altri tempi, portano con sé quella
moralità che permette ancora di indignarsi di fronte a cotanta brutalità. C’è
quello che prima era della Fiamma Tricolore e quello che stava in Forza Nuova.
C’è quello che alla fine ha messo su famiglia e non si è più visto. C’è la
“vecchia guardia” di Azione Giovani e ci sono i ventenni che iniziano ora a
muovere i primi passi della militanza. Sono i fili di un arazzo, le tessere di
un
mosaico che si ricompone qui ogni anno. Vengono distribuiti i tricolori. Ci
si mette in fila. Il corteo si incammina. Arrivate lì davanti. Vi disponete in
cerchio attorno alla lapide. Più in là i ragazzi di Lealtà Azione montano il
picchetto d’onore. Iniziano i discorsi. Viene letto il messaggio che poi verrà
deposto accanto alla fotografia. I “reduci” piangono il loro antico camerata. Qualcuno
piange ancora a sentire per l’ennesima volta quella storia, qualcun altro
piange a sentirla per la prima volta, qualcuno piange per essere venuto a
conoscerla solo adesso. E poi chi crede si fa il segno della croce e prega, chi
non crede medita in silenzio. Qualcuno, sì, fa pure il saluto romano. Ci sono i
giornalisti della stampa locale che scrutano, un po’ disorientati: si
aspettavano qualcosa di paramilitare, discorsi tracimanti odio e violenza, si
aspettavano quattro vecchiacci rimbambiti e un paio di giovinastri ignoranti e
volgari. Delusione cocente. E ora cosa scriveranno? Viene chiamato il
“Presente!”. Si fa un minuto di silenzio. La mente ti corre a quando, giovane
neofita, passavi ore a leggere i libri degli “autori di Destra”. Da qualche parte
avevi letto qualcosa sulle comunità tradizionali: diceva pressappoco, che tutte
le civiltà nascono e si sviluppano attorno alla tomba dell’Eroe, attorno alla
quale si celebrano i riti che rinnovano il giuramento di fedeltà da cui nasce
la comunità. Eccoti qui, presente a quel rito. La comunità non è il partito,
esiste prima ed a prescindere da esso, e l’appartenenza non la fa certo una
tessera del portafoglio. Finché questo giorno si ripeterà in questo modo, con
le lacrime che sgorgano dagli occhi ed il cuore che pulsa, nulla sarà perduto.
Ti volti un’ultima volta. Sergio, dalla foto in bianco e nero, sembra avere
capito il tuo pensiero, e ti strizza l’occhio…
Di Paolo Maria Filipazzi
Pubblicato il 29 aprile 2013 da
BARBADILLO.IT
1977 SETTEMBRE
Campo scuola MSI Sperlonga - Angelo Mancia il secondo da destra
1977 SETTEMBRE
Campo scuola MSI Sperlonga - Francesco Ciavattail terzo da destra
Una morte rimasta
misteriosa
La sera del 4 aprile del 1949
si prospetta tranquilla, al cinema, con la fidanzata, per Achille Billi, un
giovanotto di 20 anni, già volontario quattordicenne con il padre Enea (per
inciso: Enea ed Achille: quando i nomi avevano un “senso”) nel Battaglione “M”
impiegato contro i titini, che al rientro della prigionia è diventato un
attivista del MSI (arrestato per un attentato alla sezione del PCI di San
Saba), e ha aderito all’Associazione Arditi d’Italia
All’uscita, però, la coppia è
fatta oggetto di un’aggressione da parte di tre giovani…Billi si difende
egregiamente, e, ad acque calmate, lascia la fanciulla e si dirige verso casa…a
quel punto se ne perdono le tracce
La mattina successiva, il corpo
viene ritrovato, riverso in una barca, con un fazzoletto tricolore in bocca,
“attinto”, come si dice in questi casi, da un colpo di pistola Beretta calibro
9 (che era la sua), alla parte sinistra della nuca…portato in ospedale muore
poche ore dopo, senza riprendere conoscenza
Le indagini puntano sulla pista
politica da subito, ma dopo alcuni giorni il questore Saverio Polito (quello
delle molestie sessuali a Rachele Mussolini) rovescia la frittata e parla di
suicidio, ipotizzando, al limite dell’inverosimile, che il giovane si sia dato
la morte per passare da “eroe” (?) agli occhi della sua parte
politica….pertanto, per quel che riguarda la Polizia, il caso è chiuso
I Carabinieri non sono
d’accordo con questa decisione, e propendono piuttosto per la tesi
dell’omicidio….sta di fatto che i dubbi, però restano, e sono tanti: il padre
nega ogni tentazione suicida del giovane…il comportamento del Billi, nei giorni
precedenti, non lascia intravedere alcuno stato depressivo (regolarmente a
scuola, al cinema con la ragazza, in giro con gli amici)…gli esami rivelano che
l’omicidio/suicidio è avvenuto altrove, e solo dopo il corpo è stato posto
nella barca….il colpo di pistola esploso alla nuca…e altro ancora
Giulio Caradonna, che conosceva
bene il giovane, ha sempre parlato di “omicidio comunista”, collegato a
rivalità tra giovani avversari politici che si conoscevano tra loro (e il
riferimento all’aggressione all’uscita dal cinema è naturale)….questa anche
l’opinione del padre che, un anno dopo, sulla base di confidenze ricevuta da
uno slavo ospite del campo profughi di Fraschette, chiese –senza ottenerla- una
riapertura delle indagini
(in: Adalberto Baldoni, “La
destra in Italia 1945-69”, Roma 1999)
ROMA 8 APRILE 1949 I FUNERALI DI ACHILLE BILLI
FUNERALI DI FRANCESCO CECCHIN ALL' USCITA DALLA CHIESA
La tomba di Leda
Pagliuca e di suo figlio Riccardo Minetti, membro di Avanguardia Nazionale,
morto “suicida” in
circostanza misteriose in carcere nel Regina Coeli nell’aprile del 1978
FUNERALI DI FRANCESCO CECCHIN